STORIA DI TORINO: DALLE ORIGINI AL IV SEC. D.C.
a cura di Nibelheim
Dalle origini preistoriche, il territorio, le prime genti
Il luogo che oggi ospita la città di Torino al tempo della costruzione
delle prime capanne (i primi insediamenti in Piemonte risalirebbero a 190
- 130 mila anni fa) era assai diverso da come si presenta allo stato attuale.
Grandi e rigogliose foreste ricoprivano ininterrottamente il territorio
e paludi ed acquitrini erano presenti in larga parte. Il fiume Po scorreva
ai piedi delle colline del Monferrato ed un vasto fazzoletto di pianura
si estendeva a nord e a ovest fino alle Alpi.
Sia per l’abbondanza di acqua che di legname era una meta ambita e
ideale per insediarvisi.
Terra contesa e crocevia di popoli, il Piemonte del tempo (da Pedemontium,
ossia la “terra ai piedi delle montagne”), e in particolare
la zona di Torino, ebbe con buona probabilità tra i suoi primi abitanti
stabili i Taurini e i Celti.
Molti fin qui hanno cercato di chiarire la provenienza dei primi pervenendo
alla più probabile conclusione che essi fossero di stirpe ligure.
Assai più ostico il dibattito sull’origine del loro nome. Accreditata
sarebbe la tesi per cui taurinus sia sinonimo di “montanaro”,
“proveniente dai monti”. I Taurini sarebbero quindi un popolo
disceso dai monti. A corroborare quanto riportato sono le denominazioni
indicanti diversi contesti montuosi in diverse parti d’Europa e non
solo. Ritroviamo infatti in Austria i monti Tauri, in Crimea i monti Taurini
e in Asia Minore il massiccio del Tauro. Altri prediligono la versione che
vede tale nome legato al toro, animale che rimarrà simbolo della
città, rappresentante la forza e la combattività, nonché
segno astrologico.
L'incontro tra Celti e Taurini
I Celti, popolazione di origine indoeuropea (1) diffusa in gran parte dell’Europa
centro occidentale, incontrarono, scendendo da nord, i Taurini che, come
abbiamo detto erano con buona probabilità di stirpe ligure. Non vi
sono notizie a riguardo dell’origine dei Liguri, alcuni tendono a
vedere in essi una popolazione indoeuropea, altri no. Certo è che
Strabone (63 a.C. – 24 d.C.), storico e geografo, e Plinio non ravvisavano
grandi differenze tra i Celti e i Taurini, che erano molto simili per usanze
e costumi.
L’incontro tra i due popoli vide la superiorità militare dei
Celti, che tuttavia nonostante la vittoria riportata sui taurini non infierirono
su di essi e anzi, forse per la similarità che li accomunava, diedero
il via ad una sinergia che avrebbe ben presto portato ad una fusione. Da
questa nacque un nuovo popolo e un linguaggio che era la sintesi di due
idiomi diversi. Nascono i Taurisci.
Questa unione porta ad un’espansione dell’abitato che sorge
in un luogo ottimale. Oltre alla grande quantità di acqua e di legna,
condizioni fondamentali per la nascita di un villaggio, l’antica Torino
era sita in uno luogo di grande rilevanza strategica. Ad est scorreva il
Po, a sud il Sangone, a nord la Dora Riparia e più a nord lo Stura,
tutti affluenti del Po.
E’ implicito che un centro abitato letteralmente circondato da corsi
d’acqua offra un buon margine di sicurezza contro eventuali attacchi
esterni. Altra difesa naturale era costituita dai monti e dalle Alpi a nord
e a ovest, dagli Appennini a sud e dalle colline del Monferrato ad est.
Annibale
Nonostante questa eccezionale posizione difensiva Torino non riuscì
a scampare ad una delle sue prime tragedie. Con l’inizio della seconda
guerra punica, una minaccia incombette sulla città dei Taurini: Annibale
ed il suo esercito cartaginese. Il suo obiettivo era Roma, ma prima desiderava
impadronirsi di Torino. Voleva offrire ai suoi soldati un luogo ove riposarsi
dopo le fatiche intraprese per giungere in Italia. Aveva infatti attraversato,
proveniente dalla Spagna, tutta la Francia meridionale e valicato le Alpi
ove perirono molti dei suoi uomini; disceso poi probabilmente dalla Valle
di Susa si abbatté su Torino con un’arma tanto temibile quanto
inaspettata. Un gran numero di elefanti accompagnava infatti la minacciosa
avanzata.
La città, contro ogni previsione del generale cartaginese che pensava
di liquidare il tutto in poche ore, resistette per tre lunghi giorni prima
di cedere. Annibale allora mise al sacco il villaggio e poi lo diede alle
fiamme. I superstiti si rifugiarono sulle alture limitrofe portando con
sé quanto potevano e salvando parte del bestiame.
I Taurini si ritrovarono soli; mentre Annibale evitava ogni scontro, avendo
perso molti uomini e vedendo esausti i rimanenti, in vista della battaglia
decisiva contro Roma, essi si mantennero diffidenti sia con i vicini Insubri,
vecchi nemici che si erano alleati con Annibale e sia nei confronti dei
Romani, di cui avevano ben presente le mire espansionistiche. Tuttavia dovettero
accettare il fatto di non poter fronteggiare a lungo le legioni romane e
in breve anche il loro territorio sarebbe stato posto sotto l’autorità
imperiale.
Giulio Cesare
Nel 58 a.C. Giulio Cesare diretto in Gallia per contrastare gli Elvezi fece
tappa nell’antica Torino. Nel frattempo infatti, dopo i tragici episodi
risalenti alla seconda guerra punica, i Taurini erano tornati a valle e
avevano ricostruito l’abitato. Cesare cercava nella pianura padana,
specie in questi territori, delle alleanze. Non era nei suoi piani l’uso
della forza in queste zone, poiché il meglio delle risorse andava
utilizzato nei confini e nei luoghi di frontiera sempre instabili. La presenza
dell’imperatore nella città è attestata ancora nel 50
a.C.
Torino era intanto entrata a far parte del vasto sistema di strade elaborato
dai Romani nel nord Italia. Da essa si dipartivano le vie che portavano
al Monginevro (Alpis Matrona), a Briancon (Brigantium), al Cenisio (Alpis
Cotia), a Eporedia (Ivrea) verso nord, ad Aosta e al Piccolo e al Gran S.Bernardo.
Torino romana
L’avanzata di Roma si faceva sempre più inarrestabile e ben
presto i rapporti tra questa potenza e i Taurini si intensificarono. Questo
popolo che osò opporsi coraggiosamente agli attacchi di Annibale
era però lodato dall’impero e per questo gli venne riservato
un trattamento speciale. Ben altri erano invece i rapporti che legavano
i Romani con le vicine popolazioni insubri e liguri, sempre propense ad
azioni destabilizzanti ed eversive, una vera spina nel fianco.
Ciò che era rimasto del popolo dei Taurini dopo l’aggressione
di Annibale, si divise. Parte di esso restò nella futura Torino,
contribuendo, come si è detto, a ricostruirla. Il resto migrò
nelle zone del Canavese occidentale e, più ad ovest, nella bassa
Val di Susa. Qui entrò in contatto con la dinastia cozia, la quale
raggruppava sotto di sé tribù montane cercando di riunirle
in una potenza a cavallo delle Alpi. Tale progetto del sovrano segusino
(di Susa) Donno, tanto ambizioso quanto improbabile, non poteva passare
inosservato. Il successore Marco Giulio Cozio, alleatosi coi Romani, ricevette
il titolo di prefetto e ad essi rimase sempre fedele. Anche il figlio, Cozio
Juniore, continuò su questa linea, anche se il piccolo regno dei
Cozii si avviava ormai al tramonto e sotto Nerone avrebbe cessato di esistere,
venendo incorporato nell’impero.
Intanto il processo di romanizzazione in queste zone procedeva a marce forzate
e, è il caso di dirlo, in maniera abbastanza pacifica. Nascevano
uno dopo l’altro nuovi centri; i vecchi venivano invece rinvigoriti
dall’arrivo dei coloni romani. Le città, urbes, che si venivano
a creare in seno a questo processo avevano da subito un’impronta decisamente
romana che richiamava l’immagine della capitale. Una griglia quadrata
o rettangolare tagliata da due vie principali, il cardo e il decumano era
la struttura urbanistica ricorrente. La stessa Torino romana venne disegnata
su questo schema. Il cardo (nord – sud) era l’attuale via Porta
Palatina, mentre il decumano (est – ovest) era l’attuale via
Garibaldi.
L’intero abitato era poi chiuso da una cinta muraria con quattro entrate,
le porte. Esse rivestivano un ruolo fondamentale nell’immagine che
la città doveva dare all’esterno. Imponenti e monumentali servivano
a conferire un’idea di forza e maestosità a quanti giungevano
in città.
Di non secondaria importanza erano i templi e i luoghi di culto. Centrale
era inoltre nella vita romana il tempo che durante la giornata veniva dedicato
all’allenamento fisico e allo svago. A tal scopo venivano eretti teatri,
anfiteatri sul modello, ovviamente, del Colosseo. Tali costruzioni, di pianta
ellittica, avevano una parte centrale, l’arena, ove si svolgevano
generalmente i combattimenti tra i gladiatori, o altri generi di spettacoli;
intorno si elevavano le alte strutture murarie al cui interno si trovavano
delle gradinate concentriche. Non era insolito che in esse venissero organizzati
addirittura dei combattimenti navali; ciò era reso possibile dalla
grande abilità costruttiva dei Romani i quali erano in grado di costruire
strutture che permettessero di convogliare dell’acqua che andava poi
a riempire la parte centrale dell’arena.
Il tempo libero richiedeva poi la costruzione di bagni pubblici e di terme.
Abili ingegneri i Romani costruirono un vasto sistema di acquedotti e fognature,
strade lastricate e marciapiedi. Il foro era il centro della vita cittadina
e con buona probabilità a Torino era situato ove oggi sorge il palazzo
del municipio, in piazza Palazzo di Città; spesso ve ne era più
di uno, come per la nostra città. Qui, tuttavia, eccezion fatta per
l’impianto urbanistico del centro storico e per qualche rudere, non
è rimasto granché del periodo romano. Assai ben conservata
è però la Porta Palatina, situata in C.so Regina Margherita,
nei pressi di Piazza della Repubblica; diversi reperti sono poi stati ritrovati
all’incrocio di via Garibaldi (l’antico decumanus maximus) con
via Porta Palatina, via S.Tommaso ( l’antico cardo maximus) Il teatro
romano molto probabilmente era situato non lontano dalle Torri Palatine
e dal Duomo di S.Giovanni.
Julia Augusta Taurinorum
La colonia insediata nella città dei Taurini venne chiamata Julia
Taurinorum, in onore di Giulio Cesare. Nel 28 a.C. l’imperatore Augusto
modificò il nome in Julia Augusta Taurinorum. La popolazione della
città con molta probabilità era a quel tempo composta in primis
dagli abitanti originari, poi dai Romani, dai legionari ivi stanziati e
dai veterani dell’esercito a cui Roma offriva degli appezzamenti di
terra della campagna limitrofa. Il numero complessivo di abitanti in epoca
romana era circa di 5000 unità.
Lentamente Torino si avviava a diventare un centro sempre più potente;
si arricchiva con lo sfruttamento delle campagne, con i pedaggi sul transito
riscossi sulla strada dei valichi alpini e lungo il Po, aperto dai Romani
al traffico commerciale. La città, che sorgeva in un luogo da sempre
crocevia di popoli, era ora un centro nevralgico delle grandi vie di comunicazione
del nord Italia.
Al comando di essa vi era un'elite. Tuttavia la partecipazione attiva alla
vita cittadina permetteva a qualsiasi famiglia la scalata sociale sebbene
il patrimonio e la ricchezza avessero un ruolo fondamentale in tale processo.
Gli esponenti di queste influenti famiglie erano anche membri del consiglio
cittadino e detenevano la massima autorità sulla magistratura locale;
gli stessi erano dediti al culto dell’imperatore. Altri culti accertati
all’interno di Julia Augusta Taurinorum erano quello in onore di Giove
e quello delle Matronae, sentito quest’ultimo in particolare modo
dalle classi meno abbienti. Tale devozione, derivata dai Taurini, era forse
una reminiscenza degli antichi culti della Madre Terra.
Un altro evento drammatico avrebbe di lì a poco inciso nel profondo
la storia di questa città. Nel 69 d.C. per motivi ancora poco chiari,
in seguito ad una violenta lite tra truppe legionarie di stanza a Torino
e alcuni soldati mercenari Batavi di passaggio, provenienti da nord, scoppiò
un violento incendio che divorò gran parte della città. Ma
come avvenne al tempo di Annibale essa si riprese presto.
Publio Elvio Pertinace
Fu imperatore romano di origine piemontese. Nacque ad Alba Pompeia nel 126
da umile famiglia, il padre era un falegname, sin da giovane fu particolarmente
attratto dall’ambiente militare. Intraprese una carriera degna di
merito fino a raggiungere i massimi gradi dell’esercito. Divenne governatore
di Roma (praefectus urbis) durante l’impero di Commodo. Alla morte
di questo, ucciso in seguito ad una congiura, i pretoriani lo volevano imperatore.
Pertinace voleva però che la sua incoronazione fosse legittima a
tutti gli effetti e perciò chiese l’approvazione del senato
che non tardò ad arrivare. Deciso fino in fondo a migliorare la disastrosa
situazione finanziaria, abolì il “donativo”, tassa che
veniva riscossa dai pretoriani. Oltre a ciò voleva limitare l’influenza
dell’esercito nelle questioni di Stato. Per questo coloro che avevano
contribuito ad elevarlo al comando supremo volevano ora la sua morte. Dopo
aver represso diversi tentativi di usurpazione non poté sfuggire
al suo destino. Fu così che nel marzo 193 venne ucciso nel palazzo
imperiale trafitto da una lancia.
Costantino il Grande (2)
Dopo l’ultimo incendio che sconvolse Torino, nel 69, ci fu un periodo
di relativa tranquillità, ma con l’avvento del III secolo,
lo le cose deteriorarono repentinamente. La grave crisi economica aveva
investito l’intero impero romano, in particolare modo la parte occidentale.
Fu precisamente dopo la morte dell’imperatore Marco Aurelio (180)
che la situazione cominciò a volgere al peggio. Nel corso del III
scolo la valle padana lentamente diveniva luogo di trincea tra Roma e le
popolazioni germaniche che cominciavano ad invadere il territorio italiano.
Diocleziano, l’imperatore – soldato, sul finire del 200 aveva
allontanato almeno momentaneamente tale pericolo, tuttavia non riuscì
a mettere fine alla crisi interna che metteva a repentaglio la stessa sopravvivenza
dell’impero, i tentativi di usurpazione erano infatti all’ordine
del giorno.
In questa atmosfera pesante l’antica Torino non rimase del tutto fuori
dagli scenari. Nel 311 il futuro imperatore Costantino, disceso dalle Alpi,
giunse nei pressi della città, precisamente a Rivoli. In questa zona,
secondo la leggenda, Costantino avrebbe visto nel cielo la famosa croce
luminosa con accanto la scritta in hoc signo vinces (sotto questo segno
vincerai). Dopo tale visione combatté contro l’esercito di
Massenzio, sconfiggendolo. Il suo rivale e nemico era però riuscito
a fuggire a Roma ove tuttavia perì di lì a poco nello scontro
decisivo.
Nel 312 Costantino il Grande salì al potere. Erede di Diocleziano,
deciso a risollevare le sorti dell’impero, attuò una serie
di riforme in campo amministrativo, militare ed economico. Con lui vediamo
effettivamente un netto miglioramento della situazione generale, miglioramento
che tuttavia non sarebbe bastato ad impedire che l’impero d’occidente
venisse consegnato di fatto nelle mani dei popoli germanici. Fu a quel punto
che Costantinopoli, la città fondata dallo stesso imperatore sulle
rovine dell’antica Bisanzio, giocò un ruolo fondamentale tentando
di mantenere quell’entità che andava sotto il nome di Impero
romano ma che in realtà si avviava a trasformarsi nell’Impero
bizantino medievale.
I Germani in Piemonte
Le campagne piemontesi venivano invase dalle popolazioni germaniche e i
contadini migravano nei centri urbani in parte risparmiati dal saccheggio,
lasciando il posto ai nuovi arrivati a cui spesso veniva chiesto di entrare
a far parte dell’Impero in qualità di foederati. In questo
modo essi potevano stare indisturbati nelle terre conquistate; era un modo
per legittimare e regolarizzare il possesso delle terre espropriate ai contadini
piemontesi. L’impero non era infatti in grado di respingere efficacemente
gli attacchi e si trattava di scegliere se subire un’invasione violenta
o “pacifica” con cui l’Impero sperava di mantenere un’autorità
almeno formale. Lo statuto di foederati portò i Germani a poter accedere
all’esercito e di conseguenza alle più alte cariche. Ciò
non tardò ad accadere, essendo essi validi guerrieri. L’esercito
romano ne uscì rinvigorito ma di fatto esso era sempre meno romano,
e ciò contribuì alla imminente e definitiva separazione dell’Italia
dal resto dell’impero.
La Liguria e il Piemonte vennero interessati dal passaggio dei Visigoti
di Alarico, attaccati pesantemente dal generale Stilicone (germano egli
stesso). I Visigoti ripartirono alla volta di Roma che venne saccheggiata
nel 410. Qui dopo poco lo stesso Alarico perse la vita. Dopo questo evento
lasciarono l’Italia per dirigersi verso la Gallia passando per il
Monginevro. L’Italia non sarebbe rimasta ancora per molto romana,
infatti nel 476 l’ultimo imperatore romano d’occidente Romolo
Augustolo venne deposto dall’ostrogoto Odoacre, capo delle guardie
imperiali.
Torino cristiana
Con l’Editto di Milano del 313 Costantino accetta ufficialmente la
religione cristiana che si era sviluppata e mantenuta per ben tre secoli
in forma clandestina. Non è chiaro se l’imperatore, al di là
della leggendaria visione della croce, abbia agito per reale fede personale
o piuttosto per prassi politica, essendo il Cristianesimo, oltreché
una fede e una dottrina, anche un ottimo collante sociale, vitale in uno
Stato sempre più prossimo allo sfaldamento. Probabile fu la sua accettazione
del battesimo sul letto di morte. Almeno inizialmente l’avvento del
Cristianesimo non comportò la proibizione dei culti pagani, specie
in occidente. Era il tempo del sincretismo religioso. Lo stesso Costantino
continuò a svolgere riti pagani anche dopo l’accettazione della
nuova religione. Fu Teodosio nel 395 a bandire definitivamente i culti precedenti,
ma ricordiamo che solo con Giustiniano I, che nel 529 chiuse l’Accademia
di Atene, venne interdetto l’insegnamento ai pagani.
E’ verosimile la notizia che le prime a convertirsi furono le città
mentre il paganesimo nelle campagne fu più duro a morire.
Centrale nel processo di cristianizzazione del Piemonte fu l’uccisione
a Saint Maurice en Valais, nella Svizzera meridionale, di alcuni legionari
cristiani provenienti da Tebe. Le ragioni sono ancora oggi velate di mistero;
probabilmente vennero giustiziati per essersi rifiutati di combattere contro
altri cristiani o di rendere omaggio al culto dell’Imperatore. Tre
di questi in particolare, Ottavio, Avventore e Solutore, cominciarono ad
essere venerati nella zona e nel luogo dell’uccisione venne eretto
nel IV secolo un santuario in loro memoria. Il loro culto raggiunse un tale
grado di devozione al punto di divenire i primi tre patroni di Taurinum
(così cominciava a venire chiamata la città).
Con l’avvento del Cristianesimo una nuova figura emergeva, quella
del vescovo, la cui autorità spesso non era solo di natura religiosa.
La diocesi vescovile di Torino comprendeva Susa e le zone alpine e fu, in
epoca medievale, la base per l’inglobamento di questo territorio nel
contado torinese.
Il primo vescovo di Torino fu un certo Massimo, delle cui origini non si
sa molto. Ciò che sappiamo di lui ci è pervenuto tramite le
omelie da lui scritte.
Avverso a qualsiasi forma di compromesso con le nascenti eresie e le reminiscenze
pagane conduceva uno stile di vita austero ed ascetico. Ravvisava nelle
cose terrene una continua fonte di corruzione da cui i fedeli dovevano continuamente
guardarsi. Attraverso i suoi scritti abbiamo un quadro abbastanza negativo
della società torinese del tempo, specie di quella altolocata, ritratta
come viziosa e guasta. Note di disprezzo non mancano però nemmeno
per i contadini, visti come ubriaconi e superstiziosi. Nel suo mirino rientravano
poi gli ebrei, attivi nelle attività commerciali della città,
considerati “nemici di Cristo” e gli eretici ariani (3), visti
come pericolosi cospiratori.
Opera sua fu la prima chiesa torinese, dedicata al Salvatore, locata dove
oggi sorge il Duomo. Probabilmente fu sede del sinodo del 398, presieduto
dallo stesso vescovo. Insieme a questa chiesa, quella dedicata a S.Giovanni
Battista e quella in onore della Vergine Maria costituivano il nucleo cultuale
della Torino cristiana.
Note
(1) Per maggiori informazioni inerenti le origini e la diffusione degli
indoeuropei si rimanda al testo di J.Haudry , Gli indoeuropei, edizioni
Ar e di Romualdi, Gli indoeuropei, origini e migrazioni, edizioni Ar.
(2) Per una maggiore comprensione degli importantissimi fatti storici che
corrispondono all'ascesa al trono di Costantino il Grande, all'avvento del
Cristianesimo e alla sua diffusione, alla caduta dell'Impero romano d'occidente
e alla nascita dell'Impero bizantino medievale si consiglia il testo di
G.Ostrogorsky, Storia dell'impero bizantino, edito da Einaudi.
(3) Essi erano i seguaci della dottrina formulata dal presbitero alessandrino
Ario che riteneva inconciliabile una concezione monoteistica del divino
con l'uguaglianza tra il Padre e il Figlio propria dell'ortodossia cristiana,
rinnegando così la natura divina di Cristo. Tale dottrina venne dichiarata
eretica da Costantino il Grande in occasione del Concilio di Nicea (il primo
nella storia della Chiesa) del 325.